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A cura di Antonio La Monica per Operaincerta 2019
Dobbiamo sforzarci di presentare agli ascoltatori suoni positivi, ricchi di atmosfere di pace, soprattutto in questi momenti di tensione planetaria
Stefano Scala è un ricercatore musicale, musicista, compositore e musicoterapista.
Si é sempre interessato di musiche etniche e di ricerche etnomusicologiche. Nei suoi lavori traspare spesso, l'idea del viaggio come conoscenza. Dopo aver militato in orchestre sinfoniche, ha intrapreso una ricerca sempre più verso le radici della musica. Ha suonato in luoghi inusuali, come vivai, grotte, rifugi di montagna, oltre che in teatri ed in chiese. Ha effettuato ricerche sul canto,
in particolare verso quello gregoriano, greco ortodosso, tibetano e sullo sciamanesimo siberiano.
Ha al suo attivo anni di studio verso le cosiddette musiche extraeuropee e ha negli anni lavorato con diversi musicisti di tutti i continenti.
• Quando hai compreso che la musica sarebbe stata parte integrante del tuo cammino?
• “Sono nato in una famiglia non di musicisti professionisti, ma ritengo i miei genitori degli amanti intelligenti della musica. La mamma, grande appassionata di opere e di musica francese,
ha sempre cantato in casa, mio padre musicista dilettante amante soprattutto di musica jazz che mi ha educato all’ascolto fin da piccolo verso un certo tipo di musica.
Ho dei ricordi vaghi dei miei primi anni d’infanzia dove ricordo che percuotevo ogni cosa mi capitasse a portata di mano e che mia madre doveva nascondere pentole e pentolini per limitare la mia irruenza ritmica. Comunque le mie prime batterie giocattolo le ho avute già a 4 – 5 anni.
Lo studio serio comunque è cominciato verso i 14 anni con insegnanti privati e presso Conservatorio e Scuola Civica di Milano.
• La tua ricca discografia sembra quasi un atlante attraverso il quale viaggiare lungo il mondo. Ci spieghi quale la tua idea di viaggio attraverso la musica?
• “Negli anni ho sempre viaggiato in cerca di strumenti e suoni. In ogni viaggio ho sempre cercato di scoprire nuove sonorità attraverso il contatto con persone ed insegnati del luogo che mi potessero far conoscere lo strumento che cercavo, ma soprattutto ho sempre cercato di instaurare un rapporto
di rispetto con l’insegnante e lo strumento stesso. Oggigiorno è più facile reperire strumenti, una volta dovevi muoverti per incontrare e scoprire quello che volevi.
Adesso ho limitato questa voglia di impadronirmi delle tecniche esecutive tradizionali, spostando la mia voglia di far musica, maggiormente verso l’essenza del suono più che sul modo esecutivo. Da sempre ho cercato di utilizzare strumenti anche naturali provenienti dalle più disperate zone del pianeta.
Li guardo, li vivo, li annuso, cerco di entrare in sintonia con il loro mondo, cerco di entrarvi in punta di piedi. Il loro utilizzo negli anni è sempre stato accompagnato da ricerche specifiche affiancato da esperti botanici e biologi.
L'idea del viaggio come conoscenza attraverso la scoperta di nuovi strumenti e di nuove sonorità è l’idea che mi ha portato negli anni passati a viaggiare per scoprire molte cose che mi hanno fatto diventare quello che sono adesso soprattutto dal punto di vista artistico e musicale.
• La ricerca interiore accompagna, procede di pari passo con quella musicale. In che modo avviene questa alchimia?
• “Ritengo di far musica perché credo e spero di poter trasmettere emozioni positive. Emozioni che vivo e cerco di regalare nei miei concerti e nei miei lavori discografici. Ritengo essere un tramite, nel mio piccolo. Lo spero”.
• A proposito di "ecologia del suono", di musica che può raccontare l'ambiente... quale la tua idea al riguardo?
• “I miei viaggi non sono mai stati legati ad un’idea di ecologia specifica, ma bensì da una ricerca sonora e spirituale. Per me i suoni permettono di creare atmosfere che aiutano alla contemplazione sia esteriore che interiore e dobbiamo sforzarci di presentare agli ascoltatori suoni positivi,
ricchi di atmosfere di pace, soprattutto in questi momenti di tensione planetaria.
Certi luoghi vanno scoperti attraverso una predisposizione interiore che spesso può essere alimentata con l’ausilio della meditazione. Bisogna cercare per scoprire nuovi modi interiori, aiutati dal silenzio che spesso in certi luoghi vive e si alimenta con la preghiera e la meditazione.
Difficile parlare dei luoghi. Bisogna viverli, sapendoli ascoltare.
Ovviamente nell’Ascolto si rispetta la Natura e la si ama. La natura dell’Amazzonia ti avvolge e non puoi essere distaccato quando hai la fortuna di incontrarla. Lei, la Natura, ti spinge a creare suoni ed atmosfere magiche.
Il Monte Athos è stato per me un voler scoprire nei diversi viaggi fatti in tale luogo quanto quasi
per incanto mi indicò mio padre quando ero ancora ragazzino. Fu lui che mi parlò per primo di tale luogo, attraverso libri e fotografie mi fece innamorare spiritualmente di tale posto,
un posto magico ricco di tradizioni millenarie, anche se oggigiorno anche lì certi tempi di vita si stanno piano piano spostando verso la nostra modernità e non so se è un bene.
Amo molto anche la Cappadocia una zona spiritualmente ricca di atmosfere positive, ma luoghi anche come Assisi e Konya sprigionano una spiritualità da saper accogliere”.
• La lista degli strumenti che suoni nei tuoi concerti e nelle tue produzioni in studio è quasi sterminata. Quale senti essere quello più adatto a raccontare la tua essenza?
• “Precisiamo subito una cosa: io mi sento soprattutto un percussionista. Gli altri strumenti li uso a parer mio come un profano e mi sono serviti per realizzare situazioni e lavori diversi.
I miei strumenti sono le percussioni in senso ampio. Percussioni classiche, etniche, naturali.
Ho negli anni seguito le idee di Maioli pioniere di certe realtà sonore. Ho una mia idea sul suono della percussione soprattutto sull’utilizzo dei colori che con questi strumenti possiamo realizzare. L’utilizzo delle percussioni non solo come basi ritmiche ma come insieme di colori che fanno
un quadro, che riempiono una tela bianca, che aiutino gli altri strumentisti che lo sostengono nella realizzazione sonora dell’esecuzione. Un aiuto rispettoso.
Amo infinitamente musicisti come Nanà Vasconcelos, Zakir Hussain, Glen Velez, Trilok Gurtu, Kudsi Erguner, Jan Garbarek, Anouar Brahem solo per citarne alcuni, anche se il mio preferito in assoluto è Stephan Micus, per le sue ricerche e per il suo modo di comporre attraverso studi mirati. Poi non potrei dimenticarmi di artisti come Franco Battiato, Juri Camisasca o del Maestro
Giusto Pio, persona straordinaria che ho avuto la fortuna di rincontrare dopo tanti anni quasi per caso, negli ultimi anni della sua vita terrena.
Con lui sono molto in debito, lui sa il perché”.
• Nella tua produzione si nota anche una apertura totale verso mondi sonori lontani. Il tango, il flamenco del tuo ultimo "Compas" è solo una tappa del tuo percorso. Come ci sei arrivato e dove ti sta conducendo quest'ultima ricerca?
• “Per me è importantissimo aver esplorato mondi a noi lontani, attraverso le mie ricerche etnomusicologiche, un amore dai tempi dei miei studi classici.
Bela Bartok, per me studente di conservatorio, fu una folgorazione. Le musiche etniche le ho cominciate a studiare alla fine degli anni 70, cercando con non poca fatica materiale ed insegnati disposti a divulgare il loro sapere.
Cerco sempre in ogni lavoro di rappresentare un mio mondo sonoro attingendo dalle differenti culture incontrate nei diversi anni di studio; per me lo studio delle musiche etniche e dei suoi strumenti è sempre stato un mezzo per arrivare alla scoperta delle persone che abitano in tali luoghi, magari così lontani dai nostri, ma umanamente così vicini a noi, perché non è un colore di pelle
che fa la differenza, oppure una cadenza del linguaggio differente, sono altri i paletti assurdi che l’uomo mette per creare le differenze tra i popoli.
Hai detto bene, “Compas” è solo una tappa del mio percorso che ho voluto sondare e che è già in cammino verso altre ricerche sonore”.
• Spesso si ha l'impressione che il rispetto che nutri verso il materiale sonoro nel quale ti immergi metta in secondo piano il tuo essere autore. E' un'impressione errata? Cos'è per te la creatività?
• “In passato era molto più attratto dalla creatività personale, ma adesso non sento più così importante dover creare per forza qualcosa di mio.
Mi piace anche scoprire e riscoprire magari cose già sentite e realizzarle secondo una mia idea sonora, rispettandone sempre la creazione del compositore. La creatività va alimentata come ogni talento, ma ritengo che sia inizialmente un dono ricevuto dall’alto che se saputo cogliere nel momento giusto può dare frutti molto buoni”.
• Musicoterapia. Un tema ampio e discusso. Vorrei chiederti cosa è per te la terapia della musica?
• “Mi sono interessato alla Musicoterapia ancora in anni dove quasi nessuno parlava di tale terapia. Mi sono impegnato in ambiti diversi ma poi devo ammettere che negli anni sono stato piuttosto deluso del sistema e mi sono abbastanza allontanato anche se ho superato esami per l’abilitazione. La figura del musicoterapista e del musicoterapeuta devono esser fondamentalmente verificate
e chi effettua tali interventi deve essere super qualificato. Ecco forse in questi ultimi anni qualcosa si sta facendo, lo spero.
Attualmente comunque è un settore che non mi coinvolge più per mancanza di tempo. Sono comunque fiducioso che alcuni professionisti del settore possano ampliare e migliorare oltre che migliorarsi per il bene dei pazienti. Per me la terapia della musica è fondamentale, ma è un discorso molto lungo che ci porterebbe via molto tempo”.
• Infine, uno sguardo sul tuo prossimo futuro.
• “Ho finito di realizzare un nuovo lavoro su musiche di Philip Glass che dovrebbe uscire entro l’anno e sto preparando altri lavori su musiche di Arvo Part ed Erik Satiè, insieme a musicisti
di estrazione classica. In questi lavori cerco di mettere al servizio di queste belle composizioni il mio arsenale percussivo, con estrema delicatezza e rispetto verso il lavoro compositivo
di questi grandi compositori.
Possiamo dire che in questi ultimi periodi ho avuto “incontri con compositori straordinari” e questo è molto importante”.
A cura di Silvia Gliosi – Compàs ( Pongo Edizioni –2018)
• Maestro ci puo' parlare del suo ultimo lavoro discografico Compàs ?
• Il lavoro si è sviluppato in un arco di tempo non breve, vista la difficoltà ad incontrarsi con i diversi musicisti, che hanno creduto e voluto esser parte di questo nuovo progetto. Abbiamo, credo e spero realizzato un lavoro basato sulle emozioni che scaturiscono nell’ascolto del tango, della milonga, del flamenco o di una habanera per poi sviluppare con l’aiuto di tutti i musicisti le proprie emozioni. Ai musicisti che mi hanno accompagnato ho chiesto soprattutto di ascoltarmi ed ascoltarsi, in modo da poter interagire ognuno con l’altro.
• Le scelte dei brani, come sono state fatte? Sono partite da lei oppure la scelta è stata fatta insieme ai musicisti coinvolti nel progetto?
• Tutti brani sono stati scelti da me e proposti ai singoli artisti che hanno collaborato, tranne in un paio di brani, dove ha suonato chitarra e liuto, l’amico Davide Bortolai, che oltre a tessere con le sue corde bellezze armoniose ha anche proposto alcuni brani. La scelta è caduta su quelli inseriti nel CD. E’ un musicista molto bravo e soprattutto è come me anche un ricercatore musicale e del suono e questo è stato molto importante. Avevamo già in passato lavorato insieme e il ritrovarsi è stato molto bello e positivo. Una bella novità è stata la collaborazione con Gaio Brivio, discreto ed abile pianista oltre che studioso attento e prezioso collaboratore in questo CD. Con entrambi sicuramente lavoreremo anche in futuro.
• Maestro puo’ spiegarci un po’ meglio il perché della scelta di certi brani, di certi autori ?
• Per quanto riguarda la scelta posso subito dirle che per prima cosa ho scelto gli autori e poi i singoli brani, ho voluto inserire brani di autori, diciamo piu’ classici, basti pensare a l’Habanera della Carmen di Bizet, oppure ai brani di Erik Satiè e di Igor Stravinski che ho scelto, ma ho voluto anche inserire brani di un artista contemporaneo come Dino Saluzzi che amo molto e brani del grande Astor Piazzolla. Tutto comunque è partito dall’ascolto dei brani di Piazzolla e dalle letture di alcuni testi sul tango, in particolar modo mi ha colpito il libro “Sono un uomo di Tango” di Astor Piazzolla con una bella premessa di Aldo Pagani, ma ritornando indietro con la memoria, pur ammettendo di non esser un vero studioso di queste musiche credo di aver assimilato le prime sonorità di questo “nuevo tango” ascoltando i dischi di mio padre dove un grande Gerry Mulligan suonava con il grande Astor e poi le collaborazioni con la grande Milva, sicuramente mi sono servite. Devo comunque dire che il mio mood argentino è sicuramente piu’ vicino a quello attuale di Dino Saluzzi. Ho inserito anche qualche brano suonato in solo per potermi divertire e soprattutto per rispolverare maggiormente i miei studi sulle percussioni a tastiera, in questo caso, marimba e xilomarimba e mi sono molto divertito. Ho comunque trovato molto stimolante anche la condivisione del progetto con altri colleghi, condividendo con loro, suoni e ritmi che ci hanno legato, in modo artistico. Il brano finale che chiude il CD, unico scritto da me, è stato un piccolo regalo che mi sono fatto, un Tango Loco Solo
• Al di là delle facili etichette, cosa significa per lei il ritmo?
• Non amo dividere in compartimenti le cose e tanto meno la musica ma posso risponderle con una bella frase celebre di J.W. Goethe che se mi ricordo bene dice pressappoco così : “Il Ritmo ha qualcosa di magico, ci fa persino credere che il sublime ci appartenga”; mi sembra una definizione straordinaria. Il ritmo per me è viaggio, scoperta, ascolto, emozione, un pensiero che diventa ritmo, suono, la musica ed il ritmo viaggiano e devi imparare e fermarli, con delicatezza, farli diventare semi di ricerca, con delicatezza, per poter scoprire nel viaggio musicale, soprattutto nel mio caso ritmico, le emozioni umane che ci portano in alto verso altri mondi, questo per me è fare musica, fare ricerca, suonare insieme, camminare ascoltandosi ed ascoltando gli altri.
• Come definirebbe la sua musica ?
• Ogni volta che realizzo qualcosa di nuovo, mi baso su studi fatti e sulle emozioni che scaturiscono durante il lavoro sia se opero da solo sia se suono con altri compagni di viaggio. Certamente le mie sonorità, legate anche ai diversi strumenti che utilizzo possono esser forse un po’ forzatamente essere definite come “musiche meticce” ma come ho già detto in piu’ di un’occasione quando suono non penso se sto suonando, musiche folk, jazz, pop, classiche, ecc, penso a suonare cercando di farlo nel modo migliore.
• In questo nuovo CD che strumenti ha utilizzato?
• Sono partito da un principio: sono un suonatore di cajon? No. Quindi non utilizzerò questo strumento ma cercherò di creare sonorità soprattutto realizzando microstrutture ritmiche non invadenti che possano stare bene e sorreggere le melodie suonate dai miei colleghi musicisti. A parer mio ci sono troppi musicisti in giro che suonano cajon in modo discutibile e per me è meglio suonare cosa si sa suonare, piuttosto che imitare in malo modo altri artisti sicuramente piu’ dotati, lasciamo quindi suonare il cajon a chi ha le capacità. La moda è una brutta gatta da pelare. Ho quindi optato per marimbe e xilomarimbe per quanto riguarda le tastiere, bongos, udu drum di diversa fattura, batteria, diverse sonagliere di diversa provenienza e tamburi in legno fatti costruire apposta da un ottimo artigiano, Domenico Schiariti della ATON.
• Con lei collabora da qualche anno il musicista francocinese Laurent Wu, ci parli un po’ di questo legame
• E’un rapporto esclusivamente di lavoro, il nostro. Ci siamo conosciuti verso il 2004 in Francia e ogni tanto la nostra collaborazione prosegue, anche perché oltre ad essere un abile musicista e anche un ottimo fonico e quindi perché privarsene. I suoi suggerimenti sono preziosi e sempre mai invadenti.
• La percezione sonora espressa da maestri ambient e minimalisti del settore, quali Brian Eno, Terry Riley, Philip Glass, Steve Reich, Jon Hassell, Erik Satie, Robert Rich, quanto l’hanno influenzata? So che sta lavorando su musiche di alcuni di questi autori, giusto?
• Credo che ogni persona, anche non musicista, abbia un suo grado di percezione sonora piu' o meno sviluppata: le musiche dei padri delle musiche minimaliste ed ambient, mi hanno sempre interessato fin da ragazzo e spesso le ho studiate, soprattutto per l’importanza ritmica e ciclica nelle diverse partiture, adesso mi sto indirizzando verso un ascolto maggiormente indirizzato verso la struttura ciclica e melodica delle composizioni. In passato insieme al pianista Mattia Mistrangelo abbiamo realizzato anche un concerto su musiche di Einaudi che spero si possa ripetere in futuro, mentre attualmente sto lavorando su possibili sviluppi di composizioni di Glass e Satiè e insieme ai miei collaboratori, cercheremo di fare qualcosa di interessante.
A cura di Cesare Curti per Note Web –Nel Cuore dell’Amazzonia (PCD– 2009)
Con questo nuovo lavoro, maestro, Lei punta i fari sull’Amazzonia, per lei un nuovo viaggio.
• Questo progetto volutamente maturato insieme al Dott. Mario Brandazzi, grande botanico e gran bella persona è stato un bel viaggio sonoro. Ho cercato di riportare nei suoni, nelle emozioni e nei pensieri le immagini di quell’ecosistema purtroppo troppe volte danneggiato dalla stupidità umana e da interessi assurdi.
• E’ un lavoro suonato, composto ed organizzato in completa solitudine
• Nel Cuore dell’Amazzonia, è il risultato di un meticoloso lavoro e di sperimentazioni con strumenti sia naturali che diciamo classici ed è stato un bel gioco oserei dire ritmico – naturale, dove ancora una volta l’utilizzo di strumenti naturali mi ha aiutato molto; in questo caso l’apporto fondamentale del Dott. Brandazzi è stato molto importante. I suoi consigli sull’utilizzo del bambu’ sono stati per me come un regalo che un maestro consegna ad un suo allievo. Ecco diciamo che l’Amicizia che ci lega ha fatto scaturire questo lavoro.
• Le musiche di questo lavoro sono state anche ispirate dalla lettura di libri ?
• Certamente. Un testo come “Le Voci del Pantanal” di Estanislao Pryiemsk, oppure il testo di Danilo Manera “Yuruparì” sono state boccate di ossigeno per il mio lavoro. Mi piace ricordare come proprio nel teso di Manera si sottolinea l’importanza dei testi, dei libri. Un testo importante è certamente anche quello di Anthony Seeger “Why Suyà Sing”.
• Ricordo che Manera in un suo passo afferma che “Considero le biblioteche il principale mezzo di trasporto che esiste sulla terra e un eccellente campo base per qualsiasi spedizione”
• Completamente d’accordo. Oltre ai viaggi che soprattutto in passato ho fatto, ritengo i libri un veicolo di partenza e di nuove scoperte. Sono perfettamente in linea con questa affermazione di Danilo Manera.
• La ricerca sonora è sempre per lei importante ?
• Certamente. Indagare nel Suono e saper ascoltare, con attenzione porta a sviluppare una certa situazione emotiva e compositiva a mio parere fondamentale. Il problema secondo me è che oggigiorno l’uomo ha sempre piu’ difficoltà nel saper affrontare l’Ascolto. E’ quasi diventata un’Arte, ecco sì direi l’Arte dell’Ascolto, dev’esser allenata. Manca nella nostra società.
• Lei utilizza sempre diversi strumenti per descrivere i suoi quadri sonori, potrebbe brevemente elencarci alcuni di quelli utilizzati per questo lavoro?
• Per questo lavoro oltre alla voce, ho utilizzato diversi strumenti naturali, tipo, semi, foglie, legni, in modo particolare bambu’, sonagli vari, vasi, ecc. uniti a strumenti come marimba, wood block, udu drums, bongos o congas, oltre a strumenti a fiato, hanno portato alla realizzazione di questo viaggio sonoro. Ho cercato di dare voce agli aspetti ancestrali dell’Amazzonia, con il maggiore rispetto possibile verso le popolazioni che ogni giorno vivono all’interno di questo polmone naturale del pianeta.
• Gino Dal Soler, giornalista che in piu’ di un’occasione ha avuto verso i suoi lavori parole di elogio ha recensito questo lavoro su la nota rivista “Blow Up” affermando che lei“ricrea sapientemente un mondo primitivo che non sfigurerebbe certo nella colonna sonora di un film di Herzog”. Lo stesso Dal Soler, sottolinea come lei abbia affinità con Stephan Micus e con il nostro Walter Maioli. Lei cosa dice ?
• Certamente mi fanno piacere, queste affermazioni e ringrazio di cuore Gino Dal Soler, ma devo anche dire che è stato molto ma molto generoso. Questi artisti hanno creato una loro arte molto interessante e per me certamente sono fonte di ispirazione, ma li ritengo troppo lontani da me, troppo bravi, non facciamo certi paragoni. Un artista che mi ispira e che mi ha sempre ispirato è ovviamente Nana Vasconcelos. Spero che chi ascolterà questo lavoro potrà cogliere almeno in piccole dosi i colori dell’Amazzonia. Mi auguro questo.
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A cura di Paolo Rubino per MD & HF – Impermanence (HSL – 2008)
Grazie alla poliedricità e alla carica innovativa della sua produzione artistica, M° Scala, lei realizza sempre lavori discografici di una certa valenza artistica e spirituale, come fa, le chiediamo il segreto.
Non esiste alcun segreto, se non quello di riportare nei suoni, emozioni, pensieri ed immagini vissute ed esplorate con molta attenzione. Cerco sempre di lavorare meticolosamente su ogni percezione sonora, sempre tenendo in considerazione, per la realizzazione finale, il budget a disposizione.
Impermanence, è l'ultima sua fatica, ispirata al Tibet, realizzato tra la Francia e l'Italia, ci parli un po' di questo suo lavoro
Impermanence, è il risultano di lavori e di sperimentazioni avvenute presso il mio Studio a Milano e il CIRM di Nizza, cercando di stilare immagini sonore ispirate al cammino che i devoti compiono intorno alla sacra montagna, il Kailash. Non è da considerarsi un disco di musica tibetana, ma un mio personale cammino sonoro ed immaginario attorno al viaggio nomade del popolo tibetano, che nella sua religiosità manifesta benissimo l'impermanenza del nostro cammino terrestre.
La musica tibetana religiosa e rituale, con i suoi strumenti particolari, è un potente mezzo per entrare in rapporto con le energie presenti in natura e rappresenta uno dei più efficaci sostegni alla meditazione, quanto ciò ha influenzato la realizzazione di Impermanence ?
Certamente mi ha interessato maggiormente l'aspetto rituale, ma questo da tanti anni, ultimamente l'aspetto ritual-ambient, ha certamente avuto un aspetto maggiore che ha ampiamente influenzato le mie composizioni, così sampling, synth e sonorità d'ambiente, hanno accompagnato strumenti acustici, per dar voce alle mie tavolozze sonore, nella speranza di esser riuscito a creare un cammino verso l'ascolto. L'entrare in rapporto con le energie presenti in natura, è certamente un valido sostegno alla meditazione, ma in questo lavoro, tutto questo è molto labile e non principalmente attore in prima persona del lavoro.
Il regista Goutam Ghose, nel suo Impermanence, dice “Noi siamo nati per morire, ma la questione fondamentale è come vincere il dolore nel tempo che intercorre tra la nascita e la morte”, condivide questo pensiero ?
Completamente, sono perfettamente in linea con questa affermazione
La ricerca sonora e i campioni, in questo lavoro sono stati ampiamente utilizzati, mi sembra.
Certamente ho realizzato, almeno in parte musiche, vicine al precedente lavoro, sempre edito da HSL di Stefano Musso, Il Tempo del Sogno , dove lo stampo ambient delle realizzazioni finali è volutamente richiamato e ricco di richiami etno-ambient, forse in Impermanence, l'uso dei campioni è stato piu' meticoloso e ricercato, soprattutto per la parte effettistica e di sostegno dei brani. Adesso, comunque ritengo che per il prossimo lavoro, ritornerò a lavorare con strumenti acustici, abbandonando almeno momentaneamente, campioni, synth, ecc.
In Impermanence, ritrovo, sonorità, molto vicine a lavori di David Parsons e di Christian Bollman, oltre al canto armonico di David Hykes, in che misura è stato influenzato da questi artisti ?
Per il canto armonico certamente Hykes è un punto di riferimento e Parsons è un artista che mi piace ascoltare, mentre per Bollman, è curioso cosa mi è accaduto. Fui intervistato da un giornalista per una rivista New Age che mi chiedeva di lui, in termini di influenze, e risposi che non conoscevo la sua musica, poi ripensandoci e documentandomi, mi accorsi che invece avevo già ascoltato alcune sue composizioni realizzate con Michael Reimann, ma che al momento dell'intervista non ricordavo, così ho cercato altre sue composizioni e ho ascoltato quanto aveva realizzato e debbo dire che son rimasto sorpreso, per le bellezze delle sue musiche e cosi' adesso posso dire, che mi interessano e mi piacciono, alcune sue composizioni.
Gino Dal Soler, giornalista che ha scritto una interessante mappa delle musiche piu' visionarie degli anni ottanta “Trance e Drones”, nel recensire Impermanence su Blow Up – giugno 2008, l'ha definito “...uno dei piu' ispirati dischi di ritual ambient che ancora di tanto in tanto circola intorno a noi” che effetto le ha fatto sapere di questo giudizio ?
Certamente mi ha fatto piacere, soprattutto perché apprezzo molto Gino dal Soler come giornalista musicale, soprattutto esperto di una certa corrente musicale e quindi un giudizio del genere è certamente uno stimolo per un artista, ma soprattutto debbo dire che ha capito fino in fondo quello che volevo rappresentare nel mio Cd : un viaggio sulle orme dei nomadi tibetani, passando attraverso rituali e cerimonie antiche cariche di significati che porta l'ascoltatore a compiere la circoambulazione rituale del sacro monte Kailsh, accompagnato da suoni e atmosfere dal sapore etno-ritual-ambient, almeno vengono definite così, ma a me non interessano le compartimentazioni musicali, non compongo pensando al genere, ma realizzo musiche traendo l'ispirazione da emozioni, profumi, colori e soprattutto ascolti interiori. |
New Age and New Sounds a cura di Sergio d'Alesio (Aprile 2007 )
Maestro ci puo' parlare delle sue prime esperienze come orchestrale sinfonico ?
Essendo partito da studi classici, era inevitabile arrivare ad esperienze del tipo classico, soprattutto per l'importanza che hanno. L'orchestra ti insegna ad ascoltare gli altri e a seguire un direttore.L'orchestra sinfonica apre mente e cuore e ti porta inevitabilmente ad imparare come dicevo ad ascoltare ed ad avere un metodo sia di ascolto che di esecuzione, oltre all'esercizio continuo di lettura. E' stata una buona palestra, anche per il seguito della mia carriera, ma ritengo che ormai appartenga al passato.
Gli studi di paleografia e filologia musicale e le ricerche sul canto gregoriano, i mantra tibetani e lo sciamanesimo siberiano sono alla base della sua ricerca artistica ?
Tutti gli studi musicali confluiscono nella mia ricerca artistica, senza una netta distinzione. Molti di questi studi musicali, spesso confluiscono in esperienze concrete musicali, ossia in realizzazioni discografiche, in collaborazioni artistiche o in situazioni live, alle quali i compagni di viaggio aggiungono importanti colori e saperi artistici, ognuno con le proprie capacità e le proprie emozioni. Per esempio entro la fine dell'anno, uscirà un nuovo lavoro discografico, ispirato al Tibet, ed in particolar modo alla sua gente, al suo popolo, instancabile camminatore sui sentieri difficili della Pace. Ovviamente prima di realizzarlo mi sono documentato; ho suonato diversi strumenti e ho cercato di dare l'idea di un pellegrinaggio nomade, ma non per questo disorganizzato, anzi, organizzato e mirato verso il sapere dell'Impermanenza.
Quando ha cominciato ad ascoltare la musica di David Hykes, Stephan Micus, Christian Bollmann e Juri Camisasca aveva già iniziato a comporre la sua musica?
Per quanto riguarda Juri Camisasca, oltre che un amico, è un sincero esempio artistico, anche se la sua arte si sviluppa in maniera diversa dalla mia, diciamo che certamente la sua arte ha un livello gerarchico maggiore rispetto alla mia. Ascoltavo i suoi lavori fin da ragazzino e pensi che lui è di Melegnano ed io ho vissuto per anni a San Donato Milanese, entrambi luoghi appartenenti alla fascia geografica del Sud Milano, distanti tra loro solo pochi minuti di macchina. Ha realizzato negli anni pochi lavori ma intensi capolavori, uno per tutti il favoloso TE DEUM, prodotto da L'Ottava di Franco Battiato, con un Filippo Destrieri alle tastiere veramente in grande forma, mi ricordo che all'epoca, uscito in LP, acquistai insieme, sempre pubblicati dalle edizioni L'Ottava, altri tre superbi LP, quello di Saro Casentino, quello di Erguner e Zadeh, SOHBET e quello del Maestro Giusto Pio, ALLA CORTE di NEFERTITI – ancora ricordo come fosse ieri, l'aver ritirato i suddetti, in via Lusardi a Milano, presso L'Ottava, poiché i distributori e i negozi dove si cercavano i suddetti LP, non aiutavano molto i possibili acquirenti, anzi, ma questo è un altro discorso.Per David Hykes, è stato certamente fondamentale l'incontro,nel momento che oltre al mio studio con il M° Mukunda, l'interesse per il canto armonico e bifonico, in quegli anni mi stava prendendo una gran fetta di tempo e certamente Hykes era ed è un punto di riferimento importante da seguire, inoltre abbiamo avuto interessi comuni, per esempio, il metodo del Sig. G.I. Gurdjieff.Micus è un discorso a parte. Per me è il massimo, ho assistito a diversi concerti dell'artista tedesco, uno piu' bello dell'altro, dove con bello non intendo il senso estetico, ma principalmente quello spirituale. E' l'artista che mi emoziona maggiormente e che certamente amo maggiormente, per come utilizza strumenti e suoni : un mago acustico! Di Micus ho tutti i CD; ricordo che facevo proseliti della sua musica verso tanti amici musicisti, tenendo sempre con me, nelle mie borse, il volume Monografie – World Music del 1994 ediz. New Sounds, che conteneva un'interessantissima intervista al polistrumentista tedesco. Il suo rapporto con gli strumenti, il silenzio e la natura sono stati alla base del mio crescere artistico, anche se ultimamente ho realizzato alcuni lavori non strettamente acustici.Per quanto riguarda Bollmann, non conosco le sue musiche - mai ascoltato, ho solo letto qualche recensione.
Al di là delle facili etichette del consumismo e della globalizzazione, cosa significa per lei la new age ?
Non amo dividere in compartimenti le cose e tanto meno la musica e quindi l'etichettare il tipo di musica non mi interessa; secondo me esistono musiche interessanti e musiche non interessanti; questo dipende dall'esecutore ma anche dall'ascoltatore, spesso mi accorgo che non si riesce a dividere quello che piace da quello che è interessante e degno di attenzione, ossia io posso amare un artista, perché mi trasmette certe emozioni, ma accorgermi che un altro artista è piu' preparato del primo e questo non vuol dire che se a me non interessa non sia degno del massimo rispetto e di attenzione. Sono convinto che molto dipenda dall'esecutore e dalla sua personalità artistica e spirituale. Il senso della vita è importante per un artista, poiché bisogna sempre ricordarsi che l'artista è un tramite, tra l'ascoltatore e chi è piu' in alto, ma molto in alto, al vertice della scala gerarchica.Ritornando alla sua domanda, New Age e World Music, sono termini che spesso creano confusione e se debbo sintetizzare un pensiero, la New Age doveva esser e dovrebbe esser quel momento di risveglio da un lungo sonno, quindi un concetto che va oltre la musica, ma credo che attualmente vi sia troppa confusione attorno al seme iniziale.
Il progetto Nel Mondo non del Mondo è una produzione indipendente ?
Sì è una produzione indipendente; tutto è partito nello studio GM3 vicino a Milano, mentre stavo collaborando con un gruppo jazz ed in quell'occasione, chiamato come percussionista, avevo deciso di utilizzare, prevalentemente strumenti naturali. Era il 1997, ma già da diverso tempo utilizzavo dal vivo strumenti naturali, su forte istigazione di Walter Maioli ed i suoi Aktuala. Fu in quell'occasione che si decise di realizzare un CD con tanto entusiasmo ma forse troppo poco tempo a disposizione, poiché all'inizio una grande casa discografica, sembrava molto interessata al progetto, ma alla fine quando mi sono accorto che avrebbero voluto cambiare la quasi totalità dei brani dandone una strana impronta che non saprei definire, decisi di fare tutto da solo e certamente questo ha portato ad avere qualche problema con la distribuzione. Mi consola che alcuni dei brani presenti nel CD Nel Mondo non del Mondo, vengono ancora richiesti durante i concerti.
Nel corso degli anni 90 ha proposto al pubblico una serie di concerti ispirati alla musica tribale dell'Australia caratterizzati dal suono del didgeridoo : cosa ricorda di quelle sperimentazioni live ?
Ho dei bei ricordi, soprattutto per le persone con le quali ho realizzato quei concerti. Usavamo strumenti etnici, ai piu' sconosciuti e dopo il concerto, bisognava sempre dare mille spiegazioni al pubblico, su nomi e provenienze degli strumenti utilizzati. Era una cosa molto bella ed il poter parlare con il pubblico, certamente mi emozionava e mi trasmetteva molta energia positiva. Negli anni 80, ricordo un concerto, etno-jazz, al Capolinea di Milano, dove dopo il concerto stetti almeno altre 2 ore solo con la gente a parlare di viaggi e di strumenti musicali, erano bei tempi.
L'idea del canto armonico sviluppato nel progetto Bagliori dell'Anima, aveva intenzionalmente l'intento di un ciclico drone atto a stimolare nell'ascoltatore l'approccio con una dimensione differente di una musica che pulsa a stretto contatto con l'energia primordiale del pianeta?
Esatto –ha centrato l'idea iniziale; la voce come veicolo di trasporto e di senso spirituale musicale.
Nel corso dei suoi viaggi che tipo di emozioni ricerca e riceve ?
Normalmente sono un viaggiatore organizzato, non di quelli che parte a caso senza sapere l'itinerario che deve seguire. E' nella mia indole cercare di organizzare al meglio qualsiasi cosa, lo ritengo indispensabile, anche perché poi esistono sempre gli imprevisti e quindi è inutile sommare a quelli che si verificheranno a causa di situazioni esterne quelli provocati da una mal organizzazione.Quando faccio un viaggio, a priori non so mai quali emozioni ricevero' ma normalmente conosco, almeno in parte quello che cerco: l'Emozione.L'Emozione di un colore, di un silenzio, il disegno di un'architettura occidentale oppure orientale, oppure la semplice emozione di un paesaggio in alta montagna. Amo ascoltare i suoni, specialmente quelli del silenzio.
Quale è il paese che preferisce ?
Non ho un paese preferito, ma ho dei luoghi preferiti, per esempio, i sentieri di montagna, i deserti, le fronde degli alberi, gli eremi, la cima di una montagna, uno scoglio, ecc. Se penso a situazioni particolari, mie personali, ricordo molto intensamente i viaggi sul Monte Athos, in Grecia e un viaggio speciale in Cappadocia.
Lei ha dedicato cinque anni della sua vita a una ricerca etnica che ha dato vita al progetto UNSUI – IL SENTIERO DEI BAMBU' – condiviso con Akira Yokohama ed il francocinese Laurent Wu : quale è lo spirito che caratterizza questo progetto?
Il progetto è caratterizzato da un attento ascolto del suono e del proprio respiro. Il suono del flauto dolce giapponese shakuachi è stato il punto dal quale siamo partiti ed il controllo del respiro è stato il mezzo per riprodurre le nostre emozioni e le nostre spiritualità, diverse ma sempre indirizzate all'attenta ricerca della verità. Tantissimi strumenti sono stati utilizzati in questa produzione che ha anche un fine pro Onlus –Ctm. E' certamente il CD al quale sono maggiormente legato e credo che sia quello che mi rappresenti maggiormente.
Gran parte delle sue opere sono state arricchite dal suono del bambu', esiste una ragione specifica ?
Il bambu' è molto resistente e mi piace molto, inoltre è presente in molti continenti. Il caso ha voluto che tra i mie collaboratori vi sia un esperto botanico, specializzato nella coltivazione di bambu', il Dottor Brandazzi Mario e quindi il cerchio si chiude.
Per un musicista world quanto è importante entrare in contatto con strumenti tradizionali e cerimoniali come ad esempio il gamelan, i tamburi taiko e il flauto shakuachi e il liuto shamisen, quest'ultimi oggetti rituali buddisti che sino al 700 solo i monaci sacri komuso utilizzavano per poter meditare ?
E' fondamentale entrare in sintonia con lo strumento che si usa. Bisogna amarlo, annusarlo, capirlo, coccolarlo e soprattutto rispettarlo. Attraverso lo strumento, conosci luoghi e persone; lo strumento è un ponte verso il sapere e anche per questo dev'esser rispettato. Quando si utilizzano strumenti cerimoniali di altre culture, bisognerebbe sempre pensare, prima del loro utilizzo, se il nostro impiego, in modo magari differente, potrebbe disturbare la loro energia primaria.
In un contesto evolutivo è possibile andare oltre la percezione sonora espressa da maestri ambient del settore, quali Brian Eno, Terry Riley, Philip Glass, Steve Reich, Jon Hassell, Erik Satie, Robert Rich, Steve Roach ?
Credo che ogni persona, anche non musicista, abbia un suo grado di percezione sonora piu' o meno sviluppata ed evoluta e quindi ogni persona ha dentro il proprio Io, la possibilità di progredire in modo positivo. Io aspiro verso la positività, se questa è raggiungibile attraverso la percezione sonora espressa attraverso le musiche dei padri delle musiche minimaliste ed ambient, dico ben venga tutto questo, ma certamente non è la sola strada, a mio parere potrebbe esser un tassello di un quadro molto piu' ampio e discretamente nascosto.
Quando ha incontrato l'artista Alio Die, boss dell'etichetta Hic Sunt Leones ha scoperto che la musica minimale elettronica e acustica ha forti radici anche in Italia?
L'incontro con Alio Die, è stato un caso. Una di quelle cose che succedono senza sapere come abbia potuto verificarsi, eppure quella precisa situazione ha portato ad una collaborazione importante. Avevo dei contatti con l'artista romano Giuseppe Verticchio, ma non pensavo di riuscire ad incontrare personalmente Alio Die e soprattutto debbo dire che non conoscevo le sue musiche e le sue produzioni, anche se sapevo che certi suoi lavori erano interessanti, ma mai personalmente mi era capitato di incrociare le nostre strade. Quello che è successo e che succederà è stato e sarà certamente importante. Personalmente amo la musica minimalista, mentre la musica elettronica non la comprendo totalmente, e considero l'elettronica un utile strumento in alcuni casi, per realizzare musiche e sonorità particolari.
Quale è il rapporto che sposa il suo ultimo album IL TEMPO DEL SOGNO al testo del libro le Vie dei Canti di Bruce Chatwin ?
Fin dalla prima volta che ho letto il libro di Chatwin, sono stato colpito dalla magia delle parole e della non immagine narrativa che si trasformava in immagine. Il modo di viaggiare di Bruce Chatwin, il piu' delle volte, per me cosi' distante mi interessava ma nello stesso tempo non condividevo certi suoi atteggiamenti. Riprendendolo in mano e rileggendolo, durante la stesura delle musiche realizzate per una mostra, mi sono accorto che vi erano tra le righe ancora spunti, dopo ca. 20 anni che avevo lavorato sul testo con un mio gruppo. Gli spunti interessanti, ritrovati tra le righe, mi ispiravano molto e per questo ho utilizzato il testo come Via per la mia ispirazione creativa.
Ci puo' parlare del significato e dell'interazione vocale e strumentale del brano Part II tratto dal progetto BAGLIORI DELL'ANIMA incluso nel sampler ?
Nel 2001, arrivavo da un forte periodo di ricerca spirituale e musicale. Viaggi verso Monasteri, specialmente ortodossi e deserti, studi musicali, principalmente sulla voce, come mezzo terapeutico, sull'arte percussiva indiana e persiana, oltre ad alcune mie ricerche sul rapporto che si instaura tra il tamburo e lo sciamano, nelle diverse culture. Il tutto unito da un sottile filo dell'Ascolto Interiore. E' interessante, guardando all'indietro come il disco UNSUI, sia collegato a BAGLIORI DELL'ANIMA per un senso di ricerca di spiritualità attraverso il Suono.Part.II tratto da BAGLIORI DELL'ANIMA, certamente risente di tutta la mia ricerca personale, ma credo che in tutti i miei lavori discografici, emergano situazioni e spunti, collegati alla mia voglia di esser sempre in Ricerca di un suono vicino all'emozione spirituale. Il senso spirituale della Vita, anche attraverso la musica, è presente, in BAGLIORI DELL'ANIMA e spero che si percepisca, nell'ascoltarlo. |
A cura di Livio Santini – Il Tempo del Sogno ( HSL –2006)
Stefano Scala, artista poliedrico e certamente creatore di sonorità e musiche poco etichettabili, non si stanca mai di cercare con la sua musica nuovi sentieri e nuove zone del mondo, che possano portare l'ascoltatore a viaggiare. Un viaggio che spesso porta a scoprire la parte piu' intima di noi stessi – l'abbiamo incontrato prima di un suo concerto nei pressi del Lago Maggiore, per parlare del suo nuovo prossimo CD.
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Maestro, non si stanca mai di cercare con la sua musica nuovi sentieri musicali; questa volta approda in Australia .
Non direi che l'Australia sia un nuovo approdo, prima di tutto non ho una barca (ride!) e poi questo lavoro che raccoglie musiche composte ed ispirate per uno specifico evento, quale è stata la mostra milanese di pittura aborigena australiana è stato un po' come un voltarsi indietro di una decina d'anni, infatti risalgono al 1995/96 i miei concerti ispirati all'Australia e soprattutto ispirati da Chatwin, con la lettura dei suoi libri ed in particolar modo del testo “Le Vie dei Canti”.
Se ho ben capito, tra i concerti del suo gruppo degli anni novanta e questa nuova produzione esiste un forte legame musicale, dico bene ?
Dal punto di vista musicale non direi che ci sono dei legami così stretti, infatti i collaboratori sono quasi del tutto cambiati e gli strumenti musicali anche.
All'epoca, creavamo soprattutto una musica oserei dire quasi improvvisata basandoci sul suono atavico del didjeridoo, unendo il suono di flauti, percussioni e chitarre, in modo da creare delle immagini e degli affreschi sonori.
Oggi si è proceduto ad analizzare e creare sonorità molto vicine alla musica d'ambiente, in modo che potessero esser di sostegno ad una visita in una galleria, dove la gente guarda i quadri e non è seduta in un teatro.
Mi sono avvalso di nuovi collaboratori, fra i quali l'artista Nimh, musicista dell'area ambient e di un collega musicoterapista e musicista Stefano Taglietti oltre ad un vecchio amico Roberto Vidè, già membro del gruppo milanese Kyrie.
Inoltre son presenti Marco Casini e Jeff Heggins già presenti nel mio primo CD “Nel Mondo non del Mondo”.
Trovo invece un forte legame nella ricerca ispiratrice attraverso i testi di Bruce Chatwin, che sono stati fondamentali all'epoca e sono stati molto stimolanti per l'iter compositivo del CD “Il Tempo del Sogno”.
Dopo aver elaborato una ricerca sugli strumenti naturali e aver realizzato il CD “Nel Mondo non del Mondo”, dopo aver esplorato le possibilità vocali ed armoniche con “Bagliori dell'Anima” e dopo aver viaggiato e fatto viaggiare gli ascoltatori in Oriente ed in Africa con rispettivamente i CD “Unsui” e “Bon Voyage”adesso con questo nuovo CD, porta l'ascoltatore verso un suggestivo ed evocativo viaggio.
Una scelta veramente coraggiosa e per alcuni aspetti spiazzante, visto il tipo di strumentazione utilizzata nella realizzazione del CD. Normalmente lei ha sempre usato strumenti e suoni acustici, mentre in questo caso l'elettronica è ben presente, come mai ?
All'inizio, ho preparato brani suonati con strumenti acustici, senza l'ausilio di alcuna macchina elettronica, ma una volta riascoltati non mi sembravano adatti per una musica di sottofondo e quindi ho optato per una musica che certamente è influenzata dalla musica d'ambiente e minimalista dei molti artisti ascoltati, prima di tutto Brian Eno, Terry Riley, Philip Glass, Steve Reich, Jon Hassell, Erik Satie, Robert Rich, Steve Roach.
Ho comunque optato nelle diverse tracce presenti nel CD per un'insieme di brani ed atmosfere definirei etno – ambient.
In questo sono stato molto aiutato dal musicista Nimh che ha creato ottime atmosfere nel suo studio di Roma e dalla casa discografica di Alio Die, importante artista di musica d'ambient ed elettronica, ma a mio modestissimo parere, soprattutto un grande artista nel creare il sapore spirituale del suono con atmosfere perfette per certa musica non di consumo.
Spero in futuro di poter collaborare maggiormente con lui.
Questo incontro, per lei è stato importante, Alio Die figura di spicco della musica ambient ha portato certamente novità nella realizzazione del CD?
A dire il vero Alio Die è intervenuto solamente in seconda battuta, poiché al momento della realizzazione del CD vi sono state alcune problematiche logistiche tra la produzione e la mia precedente casa discografica la Pongo, ma il suo intervento è stato veramente unico e soprattutto senza interessi, cosa molto difficile oggigiorno.
Certamente ha coordinato tutta la realizzazione finale e soprattutto le parti grafiche insieme a Sara Luciani; la produzione comunque mi è stata molto vicina in un periodo certamente non molto positivo per me.
Parliamo proprio di questo suo momento particolare che mi sembra abbia superato benissimo vista l'ottima realizzazione discografica.
Arrivavo proprio da un momento difficile, dove la maggior parte dei collaboratori per diversi motivi avevano pensato bene di “scaricarmi”senza troppe spiegazioni e così le collaborazioni stavano veramente per diventare quasi nulle.
Proprio in quel momento vi sono stati degli avvenimenti che mi hanno portato a riprendermi in mano la vita e scoprire che proprio nelle difficoltà si scoprivano nuove e vecchie amicizie che poi hanno portato in parte, alla realizzazione di questo nuovo CD, certamente alcuni vecchi compagni di viaggio sono stati una sorpresa, poichè sono spariti all'improvviso, ma forse magari un giorno ci si rincontrerà e magari si potrà ancora suonare insieme.
Nei suoi viaggi, quali emozioni artistiche cerca ?
I miei viaggi hanno sempre uno scopo bivalente, da una parte vi è la ricerca etnomusicologica, dall'altra la ricerca religiosa . L'emozione scaturisce spesso da un paesaggio, da un luogo, da un colore, da un suono, da uno sguardo; per esempio la natura e soprattutto la montagna sono fonti di ispirazione molto forti per me.
Nella label press della HSL, casa discografica che co- produce “Il Tempo del Sogno” sotto l'attento sguardo di Alio Die, si legge che nel suddetto lavoro vi è una scelta davvero accurata dei suoni e degli strumenti musicali, ma questa e' sempre stata una costante in tutti i suoi lavori, ma vorrei sottolineare che il suddetto CD è certamente un album – viaggio molto coinvolgente e trascinante, definito dalla casa discografica unico nel suo genere, differente da progetti musicali di tematica simile realizzati in precedenza da altri artisti. Una bella soddisfazione, non crede?
Nelle mie esperienze lavorative ho sempre cercato di lavorare con metodo e professionalità, in tutti i campi dove il mio corpo e la mia mente sono stati impegnati in questi quarant'anni di camminate su questo mondo; certamente essendo “Il Tempo del Sogno”un CD per me nuovo, non direi come genere, ma come organizzazione sonora e realizzazione finale, è molto importante per me, la critica degli addetti, poiché bisognerà poi confrontarsi anche con le vendite e con i nuovi canali che si potrebbero aprire sia in Italia che sul mercato estero e certamente la supervisione di Alio Die potrà fornire molti suggerimenti in merito alla distribuzione soprattutto estera. Ritengo comunque questo lavoro, un lavoro ricco di emozioni soprattutto per le nuove collaborazioni instaurate e certamente con alcune persone non finiranno con questo CD.
Anche in questo lavoro, come nei precedenti CD, il difficile cammino del viaggio, inteso come mezzo per scoprire, è presente – è proprio una sua tematica artistica dico bene?
Ogni volta che realizzo un lavoro, spesso ispirato dal viaggio, inteso come scoperta ed accrescimento spirituale, la cosa piu' bella che mi puo' capitare è quella di instaurare un buon rapporto con i personaggi, ossia i musicisti, se poi, come in questo caso la produzione esecutiva ed artistica è doc, ancor meglio. Certamente anche per me, l'aver suonato diversi strumenti ed alcuni, incisi per la prima volta è stato un momento di crescita artistica e professionale importante.
Girano voci che stia lavorando su musiche tibetane e su uno spettacolo ispirato alla figura di Maria, la madre di Gesu', puo' dirci qualcosa ? Saranno progetti ancora con musiche ambient, con l'utilizzo dell'elettronica, oppure i suoi fan potranno rivederla impegnato tra suoni e strumenti acustici ?
(ride!) Non è quasi uscito ancora questo disco è già volete sapere di altri progetti….sono sempre un vulcano di idee e posso anticipare altre domande dicendo che ho almeno in cantiere 4 o 5 progetti e che certamente non tutti andranno in porto a breve. Certamente alcuni progetti vedranno l'utilizzo di strumenti e macchine elettroniche ma non credo proprio che il CD “Il Tempo del Sogno” possa esser etichettato come un disco di musica elettronica, certo capisco che puo' sembrare strano che dopo i 4 CD di musica diciamo acustica, si è arrivati all'utilizzo di sonorità prodotte anche con l'ausilio di macchine ma non credo proprio che si possa dire che le mie caratteristiche musicali siano completamente cambiate; certamente per me è fondamentale, nel campo artistico, non fermarsi mai nello stesso punto, ma è importantissimo cambiare e cercare nuovi stimoli. |
A cura di Sandro Copo – UNSUI (Pongo Ediz. New Line/Amandla - 2004)
Maestro, il suo set di percussioni riflette perfettamente la sua personalità, sempre alla ricerca del nuovo, quindi non ci troviamo di fronte ad un unico set, al contrario ogni esperienza musicale ha un proprio set curato… per l'occasione, puo' svelarci qualcosa su quello utilizzato in questo lavoro ?
Ho utilizzato prevalentemente strumenti tradizionali e cerimoniali, come gamelan, gong, tamburi taiko, lamelle (dan moi, mocham, mukkuri), tamburo sciamano, strumenti naturali (semi, zucche, foglie, bambu', acqua, sabbia), disco armonico, canto armonico e strumenti cosiddetti classici, marimba, xilofono, timpani. Oltre alle percussioni ho suonato in un paio di brani shakuachi e shamisen.
La presenza di strumenti naturali è sempre presente nelle sue esecuzioni, quando, come e perché di questo utilizzo ?
Ho sempre fatto uso di strumenti naturali, fin dai miei primi concerti, poi a metà anni 80 ho sempre maggiormente dato spazio alle loro voci all'interno dei miei spettacoli. Le loro voci mi hanno sempre affascinato, li guardo, li vivo, li annuso, cerco di entrare in sintonia con loro, di viaggiare nel loro mondo che poi è anche il nostro, il mio. Il loro utilizzo viene studiato attentamente, prima, durante e dopo la scelta di quel dato strumento naturale.
Lei si sente maggiormente ricercatore o musicista ?
Le sono grato per questa domanda perché spesso, a mio parere, si fa molta confusione. Sono piu' di 20 anni che mi occupo di ricerche musicali e di musica e da sempre non ho mai scisso i due argomenti. Per me la ricerca è fondamentale, l'etnomusicologia è di fondamentale importanza, mi aiuta a vivere meglio e mi emoziona scoprire ogni volta qualcosa di nuovo, in qualche angolo così lontano geograficamente ma a me così vicino. Oggi è tutto piu' facile, strumenti musicali, supporti fonografici di matrice etnica, libri, video, si trovano facilmente…oserei dire anche in un supermarket, così la cultura abita vicino ad un sacchetto di patatine o ad una scatola di preservativi…è un po'triste la cosa…era meglio quando la ricerca si sudava ? Oggi la tecnologia, tramite internet, ci permette di scoprire in modo assai veloce quello che vogliamo…potrebbe esser un vantaggio…ma….
Negli ultimi anni lei ha sempre piu utilizzato il bambu', perché?
All'inizio, prima da solo, poi con l'aiuto di Elena Vigano', biologa, si è cercato di individuare materiali naturali sonori, che avessero un suono gradevole e soprattutto che dessero emozione. Poi con il passare del tempo ho avuto modo di fare un incontro per me molto importante, sia dal punto di vista professionale che umano. Quasi per caso conobbi il Dr. Brandazzi Mario, biologo vegetale che mi ha spalancato, potremo dire la porta verso il sentiero che porta al regno dei bambu'. Siamo diventati amici e questo va oltre l'aspetto musicale….lo definirei un artista del bambu', la sua pazienza e la sua sempre pronta collaborazione, mi permettono di riuscire a fare un certo tipo di musica.
Questo incontro, per lei è importante, infatti anche in precedenti lavori, il Dr. Brandazzi figura nelle note dei ringraziamenti; l'amicizia per lei è importante ?
L'Amicizia, con la lettera maiuscola è una scintilla che si innesca tra le persone ma che poi va coltivata. Credo che al tempo dei miei nonni esisteva veramente, adesso…. Nel passato ho avuto molti amici, poi con la mia vita, un po' eremitica, oserei dire da sedentario, costretto al nomadismo mi sono ridotto ad avere poche amicizie e molti conoscenti. Credo che oggi, spesso, l'amicizia nasca per interesse e non tramite una scintilla.
Lei spesso afferma che tra i suoi modelli artistici vi sono Micus, Camisasca, Battiato...puo' dirci qualcosa in merito ? Strano per un artista principalmente percussionista ?
Premetto che la parola modelli, non mi piace, utilizzerei piuttosto, il termine punti di riferimento; ritengo che chi passa prima di un altro su di un sentiero puo' certamente esser preso come punto di riferimento, soprattutto se vi sono dei percorsi musicali e spirituali simili. Per quanto riguarda gli strumenti a percussione certamente mi sono sempre rivolto ad un genere piu' etnico che non pop – rock…come non poter citare Nana Vasconcelos, Zakir Hussain, Glen Velez, ma amo moltissimo anche Jan Garbarek, Kudsi Erguner, Hariprasad Chaurasia, Anouar Brahem, Rabih Abou Khlil. Per me non ha importanza lo strumento che suona l'artista…mi interessa l'emozione che mi trasmette nel momento che ascolto la sua arte, che per me potrà esser piacevole per un altro no, ma credo che proprio questo sia il bello della musica e dell'arte in genere. Micus per me è sconvolgente…..ogni suo suono mi affascina. In certi monasteri ho ascoltato cantare monaci che sprigionavano con il solo sguardo livelli artistici elevatissimi o per caso ho avuto la fortuna di ascoltare nomadi suonatori che con strumenti alquanto primitivi esprimevano livelli dell'arte certamente molto superiori di certe musiche contemporanee, ma questo è un altro argomento.
Nei suoi viaggi, cosa cerca e quali fino ad oggi ha maggiormente impresso nelle sue emozioni artistiche e di ricercatore ?
I miei viaggi hanno quasi sempre uno scopo bivalente, da una parte vi è la ricerca etnomusicologica, dall'altra la ricerca religiosa, ritengo che i suddetti viaggi bisogna farli con estrema cautela e preparazione, sia fisica che spirituale. Le emozioni maggiori le ho ricevute certamente nei viaggi in Cappadocia, sul Monte Athos, ma anche all'Abbazia di Chiaravalle Milanese, oppure sui sentieri di montagna…la montagna è una forte fonte di ispirazione per me.
Come a Chiaravalle Milanese, a Milano ?
Sì tante volte, si pensa che bisogna andare chissà dove per poter scoprire chissà che cosa, invece puo' capitare di averla sotto il naso e di non accorgersene, gli incontri importanti si possono fare sia in terre lontane che sotto casa.
Lei ha suonato in teatri, chiese, ma anche in luoghi insoliti, vivai, rifugi di montagna, grotte…in quale situazione preferisce esprimersi ?
Nelle chiese ho cantato per diversi anni avendo studiato canto gregoriano, ambrosiano e certosino, ma il mio ricordo maggiore è quello di esser riuscito a portare con un mio trio il suono delle percussioni nelle chiese. Ritornando alla sua domanda, per me suonare in ogni spazio è un viaggio, è comunicazione, ogni spazio ha una sua importanza anche a seconda del tipo di musica che si propone e la natura è la migliore scenografia, ma se devo risponderle da artista ritengo che preferisco spazi raccolti, come piccoli teatri e piccole chiese, dove l'acustica aiuta lo spirito…non amo i club.
Arriviamo al suo ultimo lavoro : UNSUI - IL SENTIERO DEI BAMBU' , suonare con musicisti non italiani, non è la prima volta che le capita, ma mi sembra che in questa occasione, per lei ci sia stato qualcosa di speciale ?
Ritengo questo lavoro, un lavoro ricco di emozioni e questo per me è molto importante. Averlo registrato in 3 nazioni differenti, Francia, Svizzera ed Italia, da 3 musicisti di differente nazionalità ha certamente portato a misurarsi con culture diverse. Lavorare con Akira Yokohama, giapponese, per me è stato un bel viaggio spirituale e la sua presenza ha certamente dato molto al lavoro, sia in termini artistici che umani. Con Lorent Wu, musicista franco – cinese, vi sono stati dei contatti tramite conoscenze in comune e così è stato possibile suonare e registrare insieme 3 brani anche con lui che è un esperto di musiche popolari della sua terra. I tecnici degli studi sono stati tutti molto pazienti e molto bravi. Un grazie particolare devo rivolgerlo a Fabio Bertin che oltre a registrare in Italia ha anche mixato il tutto con estrema pazienza e disponibilità.
Giappone e Cina, sono i punti fondamentali del lavoro, ma mi sembra che il regista Akira Kurosawa sia stato per lei fonte di ispirazione?
Devo precisare che non sono un esperto di cinema, ma che amo molto quello giapponese e fin da ragazzino ho sempre avuto una ammirazione per Kurosawa…la sua dipartita è certamente stata una grave perdita, non solo per il mondo del cinema. Il suo Dersu' Uzala, il piccolo uomo delle grandi pianure, mostra agli uomini che la natura è l'interiore che parla all'esteriore. Dersu' quando dice che “ alberi è omo, vento è omo, pietra è omo…” spiega che lo spirito vitale esiste sempre e solo come incarnato. Acqua, alberi, pietra, tutto è vita. Nessun panteismo…un unico Dio in condivisione al mondo. E' un grande poema epico, con una storia davvero emozionante che colpisce nell'animo.
In questo lavoro, come nei precedenti, mi sembra che ancora una volta, lo scopo sia indirizzato verso il difficile cammino del viaggio, inteso come mezzo per scoprire, dico bene?
Sono partito con l'idea di fare un lavoro ispirato al Giappone, ed in particolare al suono spirituale del flauto dolce giapponese (shakuachi) e solamente in seguito si sono aggiunti i brani tradizionali cinesi, così una volta trovati i compagni di viaggio, abbiamo deciso di cercare di creare un viaggio spirituale, dove con viaggio intendo sempre un percorso di conoscenza.L'imparare ad ascoltare, le pause, i piccoli suoni, i ritmi ancestrali e naturali…..abbiamo analizzato alcuni brani tradizionali delle scuole Myoan e Kinko per shakuachi e abbiamo cercato, senza snaturarli, di farli nostri, ho così cercato un mio percorso personale, che attraverso il suono mi ha portato ad avvicinarmi maggiormente ai monaci erranti questuanti zen (komuso – unsui). E' musica certamente tradizionale influenzata dalle nostre ricerche personali, sia musicali che sperimentali. I due brani composti da me, si rifanno alle tradizioni sciamaniche siberiane e alle suddette scuole giapponesi. L'impiego di strumenti tradizionali, senza alcun ausilio dell'elettronica e senza l'aiuto del clic, tanto amico – nemico dei musicisti, ha a mio parere, dato un indirizzo al progetto, spero almeno, piu' realistico al tipo di brani proposti. Gli strumenti utilizzati sono stati quelli a fiato, a percussione e a corda, tutti strumenti appartenenti alle zone interessate alla ricerca etnomusicologica che è durata circa 5 anni.
Puo' parlarci un po' dello shakuachi strumento principale presente nel lavoro. Potrebbe anche darci qualche informazione musicologica ?
In poche parole, risulta assai difficile poter dare una spiegazione esauriente, ma potremo dire, brevemente, che alcuni strumenti come lo shakuachi, hanno origini leggendarie e percio' i punti sono spesso non chiari e soprattutto sono molti, ma si puo' affermare che oggigiorno il shakuachi antico apparso sotto la dinastia Tang in Cina che veniva utilizzato nel gagaku, per poi scomparire nel periodo Heian; è lungo ca. 55 cm. Lo hitoyogiri è lungo ca. 35 cm. Veniva suonato tra i monaci ed i samurai; attualmente quando si parla di shakuachi, comunemente si intende il fuke shakuachi, divenuto famoso con il periodo Edo (1600); il suddetto flauto era però vietato alla gente comune, perché considerato un oggetto rituale buddista che solo i komuso, utilizzavano per poter meditare. Nel 1700, Kurosawa Kinko, un ex samurai, abbandonato il suo signore, vagò di luogo in luogo peregrinando e raccogliendo le antiche composizioni per lo shakuachi (la sua corrente prese il nome di scuola di Kinko). In questo modo lo shakuachi, potè esser suonato anche dalle genti comune e si incomincio' ad intravederlo insieme al koto (cetra) ed allo shamisen (liuto a manico lungo). Alla scuola Kinko si oppose la scuola Myoan, che voleva proteggere la musica per shakuachi in modo piu' ortodosso. Le scuole suddette hanno tramandato brani religiosi (sutra) e folcloristici. La parte che mi ha maggiormente interessato e sulla quale abbiamo cercato di lavorare maggiormente è proprio stata quella religiosa – meditativa. Suonare questo strumento era considerato non propriamente un esercizio artistico ma bensi' un controllo per una corretta respirazione. E' proprio da questo punto che ho iniziato a studiare queste musiche, direi con un approccio meditativo e spirituale che si lega al mio precedente lavoro, basato sul canto armonico. Certamente i brani in questo ultimo cd, sono stati da noi interpretati ma tenendo ben salde le precise regole e le rappresentazioni originali. Gli arrangiamenti hanno interessato maggiormente le cellule ritmiche ed i colori melodici. Una caratteristica di queste musiche è il cosiddetto ritmo senza pulsazione e per questo abbiamo cercato di sopperire in qualche modo organizzandoci in ritmiche a gocce di pioggia.
Cosa si sente di dire a chi ascolterà queste musiche ?
Grazie e buon viaggio. |
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